Se i colloqui tradizionali e le decisioni sulle assunzioni basate sui giudizi personali hanno una limitata validità predittiva, come possiamo selezionare il candidato migliore per il posto di lavoro che stiamo offrendo?
La ricerca del personale è uno dei principali aspetti che ogni organizzazione deve affrontare per la propria crescita.
In questo articolo prendo in esame un’azienda come Google, che ha deciso di migliorare i processi di assunzione adottando una serie di strategie che riducono al minimo gli errori.
Come migliorare la selezione del personale
Le ricerche fatte offrono numerosi suggerimenti per migliorare la selezione del personale, e alcune aziende già hanno iniziato a metterli in pratica.
Un esempio di società che ha ottimizzato le proprie pratiche di selezione rendendone noti i risultati è Google, come raccontato nel libro Work Rules! di Laszlo Bock, ex vicepresidente senior delle risorse umane del colosso americano.
Pur concentrandosi sull’assunzione di talenti di altissimo calibro e destinando risorse considerevoli alla ricerca delle persone giuste, l’azienda era in difficoltà.
Controllando la validità di previsione dei colloqui di assunzione, Bock non trovava “nessuna relazione […] un caos totale”.
I cambiamenti introdotti da Google per risolvere questo problema riflettono diversi principi emersi in decenni di ricerche, e illustrano alcune utili strategie adottate per ridurre al minimo gli errori.
La prima strategia messa in atto dal team delle risorse umane di Google è l’aggregazione.
Inizialmente ogni candidato che voleva entrare a far parte del team doveva affrontare fino a 25 colloqui.
Bock, dopo aver analizzato i dati, ha optato per una riduzione degli incontri.
Era di soli quattro colloqui infatti il numero ideale dopo il quale l’azienda non avrebbe potuto fare una valutazione predittiva migliore.
I colloqui successivi avrebbero comportato solamente maggiori costi in termini di tempo e risorse.
Inoltre, per garantire un tale livello di scelta, Google impone una regola stringente che non tutte le società osservano: si assicura che i selezionatori valutino i candidati separatamente prima di confrontarsi tra loro, evitando così di influenzarsi a vicenda.
Ogni selezionatore valuta per ogni candidato: capacità cognitiva generale, leadership, allineamento alla cultura aziendale (chiamato googliness) e conoscenze associate al ruolo.
Alcune di queste valutazioni vengono poi a loro volta scomposte in componenti minori.
Si noti che la figura gradevole del candidato, la parlantina, gli hobby interessanti e qualsiasi altro aspetto – positivo o negativo – che un reclutatore potrebbe osservare in un colloquio non rientrano nell’elenco.
Creare questa struttura per un compito di reclutamento potrebbe sembrare eccessivo per una piccola impresa, ma ciò che dobbiamo osservare è come avviene la gestione dei dati nel processo di selezione.
È buona norma infatti stare molto attenti alle modalità di acquisizione dei dati, aspetto determinante per il raggiungimento del nostro obiettivo.
Come descritto nell’esempio, la scelta di valutazione dei candidati da parte di Google è quella di non far condividere le informazioni dei selezionatori durante la fase dei colloqui per non acquisire dati affetti da “rumore”.
Per “rumore” si intendono quelle informazioni viziate da fattori esterni non pertinenti al contesto.
Ad esempio gli hobby del candidato sono affini a quelli del reclutatore (e quindi potrebbero influenzarlo positivamente), ma non hanno niente a che vedere con la posizione per cui la persona viene valutata per l’azienda.
Per risolvere questo problema, Google ha orchestrato dei sistemi per compiere le valutazioni sulla base dei fatti e in forma indipendente.
Quindi, come per Google, anche nelle nostre fasi di analisi dei dati non possiamo non analizzare le informazioni acquisite senza porci le giuste domande prima di procedere con progetti di Intelligenza Artificiale.
Un modo per ridurre il “rumore” e mettere in condizione ogni collaboratore di raccogliere i dati in maniera oggettiva è quello di fornire una scala condivisa.
Nel nostro esempio Google ha introdotto delle interviste comportamentali strutturate.
Il compito del selezionatore in questo caso non è stabilire se il candidato faccia o meno una buona impressione, ma raccogliere dati su ogni singolo aspetto all’interno della struttura di valutazione, e assegnare un punteggio sulla base di ciascuna caratteristica.
A questo scopo ai selezionatori viene chiesto di porre domande predefinite sul comportamento del candidato in situazioni passate.
Devono inoltre registrare le risposte e assegnare un punteggio su una scala predeterminata, seguendo una griglia di valutazione unica che offre esempi di risposte medie, buone o ottime per ogni domanda.
Questa scala condivisa (un esempio delle scale di valutazione ad ancoraggio comportamentale) contribuisce a ridurre il “rumore” nei giudizi.
Solamente dopo che abbiamo creato uno schema su come acquisire i dati possiamo passare a una vera e propria analisi delle informazioni per ottenere i migliori risultati per le nostre scelte future.
In Google il parere finale sulle assunzioni viene pronunciato in forma collegiale da un comitato apposito, che vaglia un fascicolo completo di tutte le valutazioni ottenute dal candidato su ciascun aspetto in ogni singola intervista, e altre informazioni pertinenti a sostegno delle valutazioni.
Sulla base di queste informazioni il comitato decide poi se procedere con l’offerta.
Malgrado la cultura di questa azienda sia notoriamente orientata ai dati, e a dispetto dell’evidenza per cui una combinazione meccanica degli stessi dà risultati migliori di una clinica, la decisione finale sull’assunzione non è del tutto meccanica.
Resta un giudizio, nel quale la commissione tiene conto di tutti i dati raccolti e li pesa maniera olistica, ponendosi la domanda: “Questa persona avrà successo in Google?”.
La decisione non è perciò il frutto di un mero calcolo.
È però bene notare che – anche se non sono del tutto meccaniche – le decisioni finali di Google sono comunque ancorate al punteggio medio assegnato dai quattro selezionatori, e sono inoltre informate dalle evidenze soggiacenti.
In altre parole Google consente il giudizio e l’integrazione del suo processo decisionale solo dopo la raccolta e l’analisi di ogni informazione utile.
Pertanto viene tenuta sotto controllo la tendenza di ciascun selezionatore a formarsi impressioni veloci e intuitive, precipitandosi nel formulare un giudizio.
Come illustra l’esempio di Google, e come osservato da altri ricercatori, i metodi di giudizio strutturati sono anche meno costosi, perché gli incontri faccia a faccia sono quanto di più oneroso un’azienda possa permettersi.
Cosa possiamo imparare da questo esempio?
Ciò che possiamo fare nostro dall’esempio qui presentato è quello di creare un processo decisionale strutturato che ci permetta di ottenere il miglior risultato possibile.
Ogni fase del processo deve essere ben congeniata e pensata, affinché il rischio di errore sia prossimo allo zero.
Come abbiamo visto, fin dalla fase di acquisizione delle informazioni dobbiamo preoccuparci di chi e come le raccoglie, cercando di creare degli standard comuni senza lasciare nulla al caso.
Successivamente possiamo procedere con l’introduzione della tecnologia, e sfruttare la potenza di calcolo che il Machine Learning e l’Intelligenza Artificiale ci mettono a disposizione.
Dopo tutto ciò arriva il momento di prendere le decisioni.
Ma grazie a un processo di analisi dei dati ben strutturato possiamo ridurre le scelte a poche opzioni, riducendo così anche il nostro stress decisionale.
Sicuramente non è facile introdurre queste logiche all’interno di processi aziendali collaudati, ma è ciò che dobbiamo fare se non vogliamo fallire, perché eventuali cambiamenti che avvengono all’interno e all’esterno della nostra azienda non sarebbero presi in considerazione, e quindi ci porterebbero verso strade sbagliate.
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