Questo articolo è stato pubblicato anche sul bimestrale di Confindustria Genova “Genova Impresa“ in Aprile 2025 : https://issuu.com/ausind/docs/genova_impresa_2025_n.2?fr=sYjU3ZDg0NjcyMTI (pag. 64)
Aspettare che qualcosa si rompa per intervenire è come cercare di spegnere un incendio con un bicchiere d’acqua. Il danno è già fatto, e il costo si paga doppio: una volta per riparare, l’altra per l’occasione persa.
Lo vedo continuamente: aziende che lavorano sull’onda dell’urgenza, con il fiato corto, affidandosi ancora a fogli Excel, intuizioni, vecchie abitudini. In un mercato che corre, chi si muove così resta indietro. Oggi non basta reagire. Serve prevedere.
È qui che si gioca la vera partita. Un’impresa in grado di anticipare problemi e opportunità si muove meglio, spende meno, sbaglia meno. È questo il cuore dell’impresa predittiva: non inseguire più i problemi, ma evitarli prima che si presentino.
A dirlo è facile. Il difficile è farlo. Perché l’intelligenza artificiale, quella vera, non funziona da sola. Nessun algoritmo può fare miracoli se si nutre di dati sporchi, sparsi, inconsistenti. Niente scorciatoie, niente software magici: serve metodo, cultura del dato, visione strategica.
Ed è proprio questo che ho raccontato al “238° Coffeetech”, organizzato da Confindustria Genova, dai Giovani Imprenditori e dal Digital Innovation Hub della Liguria. (Video: https://www.youtube.com/watch?v=dCs59FaBXhw)
Nessuna fiera dell’AI con buzzword vuote. È stato un confronto concreto su come passare da una gestione aziendale reattiva a una predittiva. E lo strumento per farlo ce l’hanno già in casa: i dati.
Un problema di consapevolezza
C’è ancora poca coscienza della posta in gioco. Lo ha detto chiaramente anche il professor Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano, in un articolo uscito sul Corriere della Sera: molte filiere industriali italiane continuano a usare il rallentamento della transizione digitale come alibi. Si aggrappano a un passato industriale ormai superato, nella speranza che qualche decisione politica o una misura protezionista possa rallentare il cambiamento.
Ma è una speranza vuota. E il rischio, come scrive Noci, è di perdere nel giro di pochi anni interi pezzi di industria. La verità è che la percezione del valore dei dati è ancora troppo bassa. “Non sapere nemmeno di non sapere” – dice – è la forma più pericolosa di ignoranza.
I dati non si estraggono, si coltivano
Lo slogan “i dati sono il nuovo petrolio” funziona solo nei titoli. Il petrolio lo estrai, lo bruci e non c’è più. I dati, invece, si possono coltivare. Cambia tutto.
Io preferisco l’immagine dell’agricoltura: i dati grezzi sono i semi; il contesto aziendale è il terreno; l’algoritmo è la tecnica di coltivazione; e il modello è la pianta che cresce. I frutti? Sono i risultati pratici che un sistema predittivo può restituire: segnalazioni, analisi, decisioni migliori.
Per raccogliere, però, bisogna prima seminare con metodo. E avere cura di tutto: dall’infrastruttura tecnica alla qualità dei dati. Altrimenti si rischia di coltivare solo illusioni.
Come si costruisce un sistema predittivo
Nessun robot senziente, nessuna fantascienza. Un sistema predittivo parte da dati storici – ad esempio i guasti di un macchinario – che vengono analizzati da un algoritmo in grado di riconoscere schemi. Il risultato è un modello che può dire, con un certo anticipo, se una pressa idraulica rischia di fermarsi entro i prossimi 30 giorni.
Il tutto viene orchestrato da un agente, che può essere un report, un’interfaccia, un alert. Ma attenzione: senza azione, anche la previsione più accurata resta sterile. Prevedere non serve a nulla se poi non si agisce. Quali sono allora le fasi cruciali per mettere le basi per un buon sistema predittivo?
- Monetizzare i dati (anche senza venderli)
Appena si parla di dati e valore economico, molti pensano subito alla vendita di database. Ma la Data Monetization è molto di più: significa usare i dati per migliorare efficienza, qualità, prodotto.
Se un’anomalia viene rilevata in tempo, si evitano sprechi. Se si identificano i prodotti che rendono di più, si investe meglio. Se si capisce in anticipo quando un cliente si sta allontanando, lo si può trattenere.
I dati non sono un archivio, sono una leva strategica.
- Governare i dati, non subirli
Senza Data Governance, anche il database più ricco è solo una fonte di caos. Lo dico spesso: è come avere un magazzino pieno di materiali, ma senza etichette, senza scaffali, senza un responsabile.
Una governance solida definisce regole, ruoli e responsabilità: chi gestisce i dati, chi li può modificare, dove sono archiviati, se rispettano il GDPR. Significa poter rispondere con certezza a un cliente che chiede la cancellazione dei suoi dati. E significa far parlare tra loro marketing, produzione e amministrazione usando gli stessi numeri.
- Se i dati sono malati, anche le decisioni lo sono
La qualità dei dati è fondamentale. Codici duplicati, formati incoerenti, informazioni vecchie o mancanti compromettono ogni analisi. Ho visto aziende con dati talmente confusi che neanche il miglior algoritmo al mondo avrebbe potuto tirar fuori qualcosa di utile.
Serve un check-up periodico, come il tagliando dell’auto. È una manutenzione invisibile, ma indispensabile. Perché se il dato è sbagliato, anche la decisione sarà sbagliata.
Oltre a tutto ciò il Data Scientist è una figura chiave, non un lusso
Nessuno deve pensare che il Data Scientist sia un esperto al servizio solo delle grandi aziende. Anche una PMI può coinvolgerne uno, magari per un progetto specifico. Il suo compito è leggere i numeri e trasformarli in indicazioni concrete.
Un bravo Data Scientist non fa grafici belli da vedere, fa domande scomode, individua correlazioni che sfuggono all’occhio umano, e suggerisce azioni. È un interprete tra tecnologia e impresa. E può fare davvero la differenza.
Infine per un buon sistema predittivo, c’è un rischio sottovalutato da tenere assolutamente in considerazione: il debito tecnologico. Succede ogni volta che si sceglie un sistema veloce, economico, ma chiuso e poco scalabile. Tutto sembra funzionare, finché non serve un aggiornamento, un’integrazione, una modifica. E allora iniziano i guai: il fornitore non c’è più, il codice è incomprensibile, il sistema non parla con gli altri.
Per evitarlo, bisogna scegliere soluzioni aperte, modulari, documentate. Pretendere la proprietà dei propri dati. E formare anche internamente qualcuno che sappia orientarsi tra le tecnologie adottate.
Il primo passo da fare? Riconoscere dove si è
Non serve rivoluzionare tutto da domani. Serve iniziare. Anche solo con una mappatura dei dati esistenti, un confronto con un esperto, un’analisi dei colli di bottiglia.
L’intelligenza artificiale non è la destinazione, è uno strumento. E come ogni strumento, funziona solo se chi lo impugna sa dove vuole arrivare.
Non fare nulla, oggi, significa perdere terreno ogni giorno che passa. Significa lasciare il vantaggio competitivo agli altri, a chi ha deciso di investire nella qualità dei propri dati, nella flessibilità delle tecnologie, nella capacità di anticipare invece che rincorrere.
E solo chi inizia, anche con una piccola azione, potrà coglierne davvero i benefici. Perché un passo, fatto ora, può evitare una rincorsa disperata domani.
Il momento giusto non arriverà: è già arrivato.