Negli ultimi anni l’Intelligenza Artificiale è stata presentata come una leva strategica per trasformare i processi aziendali, ridurre i costi, aumentare la produttività e ottenere un vantaggio competitivo.
Tuttavia, nonostante gli investimenti crescenti e l’interesse diffuso, la realtà è che una quota significativa dei progetti AI non raggiunge i risultati attesi.
Secondo uno studio della RAND Corporation, oltre l’80% dei progetti di intelligenza artificiale fallisce. Si tratta di un tasso di insuccesso quasi doppio rispetto a quello dei progetti IT tradizionali.
Altre ricerche confermano un trend simile: nel 2024, il 42% delle aziende ha dichiarato di aver interrotto o abbandonato la maggior parte delle proprie iniziative AI, e circa la metà dei progetti si ferma alla fase di proof-of-concept senza mai entrare in produzione.
Questi numeri evidenziano un divario tra le aspettative spesso molto elevate e la reale capacità di implementazione dell’AI all’interno dei contesti organizzativi.
Non si tratta di un problema tecnologico in senso stretto, ma di una serie di criticità legate alla definizione del problema, alla qualità dei dati, all’infrastruttura di supporto e all’integrazione nei processi aziendali.
Perché accade così spesso?
Comprendere le cause alla base di questi fallimenti è il primo passo per costruire progetti di AI più solidi, efficaci e sostenibili. Nei paragrafi successivi analizzeremo gli errori più comuni e le buone pratiche che possono fare la differenza.
“Basta un algoritmo e risolvi tutto”
Uno degli errori più comuni che porta al fallimento dei progetti di intelligenza artificiale è l’idea – errata ma diffusa – che basti scegliere il tool giusto per ottenere risultati immediati.
In molti casi, l’attenzione si concentra quasi esclusivamente sull’aspetto tecnico del sistema: quale framework utilizzare, quale architettura scegliere, quale tecnologia applicare.
Questa visione riduttiva alimenta un equivoco pericoloso: considerare l’AI come una bacchetta magica in grado di trasformare automaticamente qualsiasi processo.
In realtà, un algoritmo – per quanto sofisticato – è solo una componente all’interno di un sistema ben più ampio.
Senza dati di qualità, senza un problema ben definito, senza un contesto operativo chiaro in cui calare la soluzione, anche il miglior modello resta sterile.
È fondamentale distinguere tra tecnologia e soluzione utile. Il fatto che uno strumento funzioni bene in altre realtà non garantisce che sarà efficace nel contesto reale dell’azienda.
La capacità di portare valore non dipende solo dalle performance tecniche, ma anche da aspetti organizzativi, operativi e di governance.
Il vero obiettivo non è “fare AI”, ma risolvere problemi concreti con gli strumenti più adatti.
L’intelligenza artificiale, come ogni altra tecnologia, è un mezzo e non un fine. Oggi abbiamo a disposizione certi modelli e soluzioni, domani ne avremo di nuovi: per questo non possiamo legare il successo di un progetto a una singola tecnologia, ma dobbiamo concentrarci sul metodo.
Serve partire da una chiara comprensione delle esigenze di business, identificare i colli di bottiglia nei processi e definire con precisione dove e come l’intervento algoritmico possa portare valore. Solo a quel punto ha senso valutare se l’AI sia lo strumento più efficace e sostenibile per quel contesto.
L’approccio deve essere guidato dal problema, non dalla tecnologia.
Le cause più comuni dei fallimenti
Il fallimento di un progetto di intelligenza artificiale raramente dipende da un singolo fattore.
Nella maggior parte dei casi, è il risultato di una combinazione di problemi ricorrenti, spesso sottovalutati nelle prime fasi.
Comprendere queste criticità è essenziale per prevenirle e costruire soluzioni robuste e realmente operative.
PROBLEMI MAL DEFINITI O NON ADATTI ALL’AI
Uno degli errori più frequenti è partire da una sfida mal formulata o che semplicemente non è risolvibile tramite l’AI.
Alcuni problemi aziendali mancano della dimensione predittiva, o richiedono una comprensione del contesto che un modello non può apprendere dai dati disponibili.
Spesso manca un’analisi preliminare che valuti la coerenza tra il problema posto e le reali capacità delle tecniche AI. In questi casi, anche l’implementazione tecnica più avanzata finisce per essere irrilevante.
MANCANZA DI DATI (QUANTITÀ, QUALITÀ, AGGIORNAMENTO)
L’intelligenza artificiale, in particolare il machine learning, è fortemente dipendente dai dati.
Non è raro avviare un progetto e scoprire solo dopo che i dati non sono sufficienti, che contengono errori, sono obsoleti o troppo frammentati.
La “data readiness” è una condizione imprescindibile.
Secondo una ricerca di Gartner, oltre il 50% dei progetti AI falliti è stato associato a problemi relativi alla gestione o alla qualità dei dati.
INFRASTRUTTURE ASSENTI O INADATTE (ASSENZA DI MLOps)
Molte aziende sottovalutano l’importanza delle infrastrutture di supporto, come pipeline di automazione, ambienti di test, monitoraggio dei modelli e gestione del ciclo di vita dell’AI (MLOps).
Senza una solida architettura a supporto, anche modelli ben addestrati rischiano di rimanere confinati a progetti pilota, perché non esistono strumenti per metterli in produzione o aggiornarli nel tempo in modo sicuro e scalabile.
MANCATO COINVOLGIMENTO DEGLI UTENTI FINALI
Un altro errore frequente è lo sviluppo in isolamento, senza il coinvolgimento di chi dovrà poi usare la soluzione AI.
Questo porta a sistemi poco integrati nei flussi operativi, difficili da comprendere o da utilizzare nella pratica quotidiana.
Il risultato è un basso tasso di adozione, anche quando il modello funziona.
L’efficacia dell’AI non dipende solo dalla tecnologia, ma anche dal grado di accettazione e integrazione nei processi aziendali.
SCELTE SBAGLIATE IN FASE DI MODELLAZIONE
Infine, molti progetti cadono nella trappola dell’iper-tecnicismo: si punta sull’algoritmo più avanzato, ma scollegato dal problema reale.
In alcuni casi, un modello semplice e trasparente (come una regressione lineare ben costruita) avrebbe potuto generare maggiore valore rispetto a una rete neurale complessa e difficile da interpretare.
La modellazione deve essere guidata dalla comprensione del dominio e dalla compatibilità con i dati disponibili, non dalla moda del momento.
Il lato umano: cultura aziendale e aspettative
Oltre agli aspetti tecnici, uno dei fattori più critici — e spesso trascurati — nel successo dei progetti di intelligenza artificiale è la cultura aziendale.
Anche le soluzioni tecnologicamente solide possono fallire se inserite in un contesto organizzativo non pronto ad accoglierle.
L’AI non è una tecnologia plug-and-play.
Richiede tempi di sviluppo più lunghi, sperimentazione, continui aggiustamenti e un processo iterativo.
Il modello iniziale spesso non è quello definitivo, e la sua efficacia va verificata sul campo, con feedback reali e continui miglioramenti.
Questo ciclo di raffinamento è una caratteristica fisiologica dell’AI, non un segnale di debolezza.
Molte organizzazioni, però, non sono abituate a gestire l’incertezza. La pressione per ottenere risultati tangibili nel breve termine porta a decisioni affrettate: si abbandonano progetti promettenti alla prima difficoltà oppure si forzano le tempistiche saltando fasi fondamentali come la validazione sul campo o la formazione degli utenti.
Questo approccio incrementa il rischio di fallimento.
In un sondaggio condotto da Boston Consulting Group, il 67% dei manager ha indicato l’ansia da performance e la scarsa tolleranza all’errore come barriere principali all’adozione efficace dell’intelligenza artificiale.
L’AI è uno strumento potente, ma i suoi benefici reali emergono nel tempo.
Serve una visione strategica di medio-lungo periodo e la disponibilità ad accettare che non tutti gli esperimenti avranno successo.
Una cultura orientata al breve termine, che misura il valore solo in base a ROI immediati, rischia di uccidere l’innovazione sul nascere.
Adottare l’intelligenza artificiale in azienda significa anche promuovere un cambiamento culturale: valorizzare l’apprendimento continuo, accettare l’errore come parte del processo e costruire fiducia tra team tecnici e operativi. Senza questo cambio di paradigma, anche la migliore tecnologia rischia di rimanere inutilizzata.
Cosa funziona davvero: i 5 pilastri per non fallire
Non esiste una formula magica per garantire il successo di un progetto di intelligenza artificiale, ma esistono approcci consolidati che riducono sensibilmente il rischio di fallimento.
I progetti che funzionano condividono alcune caratteristiche chiave. Di seguito i cinque principi fondamentali su cui costruire iniziative AI solide e sostenibili.
1. PARTIRE DAL PROBLEMA, NON DALLA TECNOLOGIA
Il punto di partenza deve sempre essere il problema di business: un’inefficienza da risolvere, una previsione da migliorare, una decisione da supportare.
È un errore comune cercare “dove applicare l’AI” partendo da un algoritmo o da una tecnologia interessante.
Invece, l’AI va usata solo se c’è una reale opportunità che non può essere risolta in modo più semplice, economico o già collaudato.
2. DEFINIRE CASI D’USO CHIARI E MISURABILI
Un caso d’uso efficace è specifico, circoscritto e misurabile.
Serve a definire con chiarezza cosa si vuole ottenere (ad esempio: ridurre il tempo medio di risposta a un cliente, migliorare la previsione della domanda, identificare anomalie produttive).
Deve includere indicatori (KPI) per valutare l’impatto della soluzione. Senza una metrica condivisa, diventa difficile capire se il progetto sta portando valore o meno.
3. COMINCIARE IN PICCOLO (QUICK WIN)
I progetti di maggiore successo spesso iniziano da piccole implementazioni ad alto impatto, note come quick win.
Consentono di testare la fattibilità dell’approccio, raccogliere feedback e generare fiducia interna, prima di passare alla scalabilità.
Questo approccio progressivo riduce il rischio e consente di adattare il progetto man mano che emergono nuove esigenze o vincoli operativi.
4. INVESTIRE NEI DATI E NELL’INFRASTRUTTURA
La qualità dell’AI dipende direttamente dalla qualità dei dati.
Per questo è fondamentale investire in raccolta, pulizia, governance e in infrastrutture che supportano l’intero ciclo di vita del modello: dal training al monitoraggio in produzione.
Senza questi elementi, anche i migliori modelli non superano la fase pilota.
L’integrazione con strumenti di MLOps è oggi un prerequisito per l’operatività e la scalabilità.
5. COINVOLGERE FIN DA SUBITO CHI POI USERÀ L’AI
Il coinvolgimento degli utenti finali non può essere un momento finale del progetto, ma deve iniziare fin dalle prime fasi.
Serve per assicurare che la soluzione sia comprensibile, utilizzabile e integrata nei processi reali. Inoltre, il dialogo con gli stakeholder permette di intercettare criticità operative, esigenze specifiche e resistenze al cambiamento che, se ignorate, possono compromettere l’adozione.
Come possiamo aiutarti in DataDeep
In DataDeep crediamo che ogni progetto di intelligenza artificiale debba partire dai dati che l’azienda possiede già e da problemi concreti che meritano una risposta.
Il nostro approccio unisce competenza tecnica e visione applicativa: analizziamo con precisione i flussi informativi, identifichiamo le reali opportunità di intervento e costruiamo soluzioni personalizzate, trasparenti e realmente utili.
Grazie a questo metodo, abbiamo già supportato numerose imprese nei settori industriali e dei servizi, ottenendo risultati tangibili.
Dove ci sono dati, c’è sempre margine di miglioramento.
Che si tratti di qualità, efficienza, manutenzione o vendite, l’analisi avanzata dei dati può offrire soluzioni concrete.
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